Anche in UK si può sbagliare?

macchinineA” grade e “outstanding” rating sono termini che, vivendo in UK, si sentono spesso. Se poi bisogna scegliere la scuola per il proprio figlio ci si ritrova immersi in gruppetti di organizzatissime e informatissime mamme che questi I termini li utilizzano come riferimento primo per orientarsi.

Io per prima pensavo di essere immune dall’ansia: “una scuola ‘good’ va bene, no?” Ma poi la sera mi ritrovavo a rimuginare: vuoi fare la scelta “perfetta” per il tuo cucciolo e quella mamma lì, che stimi, ti ha detto che quella scuola good non va mica bene, perché i risultati ottenuti dai bambini di Y6 lo scorso anno sono stati sotto la media, e quindi si dà il via al pensiero irrazionale ma angosciante: “Oddio, se ci mando mio figlio sarà sotto la media!”

Durante gli open-day però, mi ritrovavo a valutare più “di pancia”, ad osservare i bambini e considerarne la serenità, a “sentire” nel mio intimo quanto quel luogo fosse accogliente, a guardare i muri ricoperti di lavori dei bambini scoprendomi a leggere delle piccole conquiste quotidiane dell’uno e dell’altro, mostrate con orgoglio sia che fossero “outstanding” sia che non lo fossero.

Il parametro della perfezione, per quanto sia stato e sia tuttora un mio assillo personale, non mi ha mai fatto stare bene, e, se non era il mio cervello, ci pensava il mio corpo a comunicarmelo ad ogni ingresso in una nuova scuola.

Quando la prestazione vince rispetto all’armonia e alla serenità della persona, ci ritroviamo in un’altalena di emozioni: dalla felicità, frutto di un’edificante soddisfazione per aver raggiunto gli standard previsti, alla tristezza o alla rabbia per l’impotenza provata nell’impossibilità di raggiungerli.

Questo capita anche con la genitorialità, sfida complessa alla quale si approda con una generale impreparazione che lascia interdetti, sopraffatti da una tempesta di emozioni (e per le mamme, anche di ormoni!) e facile preda di quel senso di impotenza e inadeguatezza. È ciò che poi si può tradurre in baby blues per qualcuna, depressione per altre (e qui si parla soprattutto di mamme), ansia.

Quel cucciolo amato in un modo così travolgente meriterebbe solo il meglio, anzi, il meglio del meglio, eppure non ce la si fa, non ce la si fa mai a raggiungere la perfezione. Ogni scelta fatta per lui o lei, da quelle più quotidiane, come scegliere il cibo da dargli, a quelle più macroscopiche, come la scelta della scuola, ci riportano inevitabilmente al dubbio di stare facendo la cosa sbagliata.

Noto come, sempre più spesso, i genitori ricorrano alla lettura di testi dedicati all’educazione, alla ricerca sfrenata di una certezza, di una ricetta da seguire che possa liberarci dal senso di inadeguatezza che deriva dalle nostre scelte per i nostri bambini. Eppure, anche quando si potesse trovare una ricetta perfetta, non sempre si hanno a portata di mano gli stessi ingredienti, bisogna reinventarsi, sostituire qualcosa, cambiare qualche dose o il tempo di cottura. In fondo, il modo migliore per imparare a cucinare è certo accogliendo consigli su quale tipo di carne usare, su quale verdura scegliere, sulla cottura migliore per ogni cibo, ma, soprattutto, provando.

Ci saranno sicuramente dei flop ma in fondo, la perfezione è immobile, sono i flop, le cadute, gli sbagli, che permettono il cambiamento.

Scontrarsi con l’impossibilità umana di essere il genitore perfetto è faticoso e frustrante, ma è anche occasione di cambiamento.

Se non ci fossero errori nelle nostre azioni, che fatica dovrebbero fare i nostri figli per cercare di raggiungere i nostri perfetti traguardi? E se non ci potessero arrivare, quanto imponente sarebbe il loro dolore?

Un modello genitoriale positivo e soprattutto raggiungibile è colui il quale, di fronte ad un flop, ripara agli errori e riprova più consapevole e sereno.

L’inesattezza che ci accompagna nella relazione con l’Altro è quanto ci rende autentici. E’ quanto ci rende capaci di osservare una torre di macchinine ed esclamare naturalmente: “ma che meraviglia!”, senza pensare all’utilizzo poco comune di quel gioco, perchè in fondo, l’inesattezza va di pari passo con la creatività.

Accogliere e perdonare la propria imperfezione, quindi, non solo permette di vivere più serenamente e affrontare con maggiore equilibrio le sfide quotidiane, ma permette anche di allentare tensioni e aspettative nei confronti di chi ci è più caro (figli, partner, genitori) consentendo anche a loro di poter sbagliare, e quindi di crescere.

IL PAESE SENZA ERRORI (Gianni Rodari)

C’era una volta un uomo che andava per terra e per mare
in cerca del Paese Senza Errori.
Cammina e cammina, non faceva che camminare,
paesi ne vedeva di tutti i colori,
di lunghi, di larghi, di freddi, di caldi,
di così così:
e se trovava un errore là, ne trovava due qui.
Scoperto l’errore, ripigliava il fagotto
e ripartiva in quattro e quattr’otto.

C’erano paesi senza acqua,
paesi senza vino,
paesi senza paesi, perfino,
ma il Paese Senza Errori dove stava, dove stava?

Voi direte: Era un brav’uomo. Uno che cercava
una bella cosa. Scusate, però,
non era meglio se si fermava
in un posto qualunque,
e di tutti quegli errori
ne correggeva un po’?

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